Lo sguardo della Medicina Narrativa: immaginazione
03 settembre 2018, scritto da Francesca Memini
categoria: Punti di vista
condividi
  • condividi via LinkedIn
  • condividi via Google Plus

Lo sguardo della Medicina Narrativa: immaginazione

Lo sguardo nel presente, lo sguardo verso il possibile, lo sguardo che immagina altri sguardi, lo sguardo che costruisce nuove storie

Proseguendo con il brainstorming sul significato dello "sguardo" nella Medicina Narrativa, in attesa del workshop che si terrà il 22 settembre a Milano, ecco la seconda frammentaria suggestione. Ci sarebbero significati e connessioni più immediate da esplorare, nel rapporto tra sguardo e medicina narrativa, e ce li ho lì, bene in vista di fronte a me. Anzi anche troppo in vista, ancora troppo vicini per essere messe a fuoco. Per questo scelgo di proseguire con qualcosa che si colloca al limite del campo visibile, quasi al confine con l'invisibile.


Suggestione #2: lo  sguardo come immaginazione

La seconda suggestione è letteraria. Italo Calvino dedica una delle sue Lezioni americane alla “visibilità”. Lo sguardo in questo caso è lo sguardo del lettore che visualizza le parole che legge, ma è anche lo sguardo dello scrittore che immagina mondi prima di trasformarli in parole. Da dove arrivano queste immagini?

Arrivano da un’illuminazione, una visione, un’idea o arrivano dall’immaginario (che sia concepito come immaginario collettivo, magari anche digitale, o patrimonio culturale condiviso)?

“L’immaginazione come strumento di conoscenza o come identificazione con l’anima del mondo […] dovrei essere un deciso fautore della prima tendenza, perché il racconto è per me unificazione d’una logica spontanea delle immagini e di un disegno condotto secondo un’intenzione razionale. Ma nello stesso tempo ho sempre cercato nell’immaginazione un mezzo per raggiungere una conoscenza extraindividuale, extrasoggettiva; dunque sarebbe più giusto che mi dichiarassi più vicino alla seconda posizione, quella dell’identificazione con l’anima del mondo. Ma c’è un’altra definizione in cui mi riconosco pienamente ed è l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere. […] La mente del poeta e in qualche momento decisivo la mente dello scienziato funzionano secondo un procedimento di associazione di immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile.”

Cosa c’entra tutto questo con la medicina, con la pratica clinica o con la Cura? Un po’ Calvino lo spiega qui sopra. Un po' forse bisognerebbe fare il giro largo e ricordarsi che cos'è la Cura.  La Cura “si realizza come prendersi cura delle possibilità”, diceva Heidegger.


In questa suggestione #2 ci metto anche un’altra scrittrice che ci ha lasciato alcune riflessioni su quello che succede nello sguardo-immaginazione dello scrittore. Marguerite Yourcenar è l’autrice de “Le memorie di Adriano”. Insieme a questo capolavoro della letteratura (si può ancora dire o suona troppo retorico?) ci ha lasciato anche i suoi taccuini, le note che descrivono la genesi dell’opera. Per scrivere quest’opera, l’autrice ha creato il vuoto dentro di sé (la ricettività, l’attenzione), per potersi immergere in un mondo lontano e guardare il mondo con gli occhi dell’imperatore, per ricreare lo sguardo di Adriano sui fatti della sua vita; le sue “memorie”. Aiutandosi anche con lo studio e la lettura degli “autori antichi” della biblioteca di Adriano.“Un piede nell’erudizione, l’altro nella magia; o più esattamente, senza metafora, in quella magia simpatica che consiste nel trasferirsi con il pensiero nell’interiorità dell’altro”.

Allo stesso tempo ha fatto ricorso ai suoi ricordi personali, alle sue immagini della memoria, al suo sangue:“Lo stregone che si taglia il pollice al momento di evocare le ombre sa che esse obbediranno al suo appello soltanto perché lambiscono il proprio sangue”.


Cosa c’entra tutto ciò con la pratica clinica, con l’esperienza di malattia e con la medicina narrativa? Proviamo a mettere a confronto le precedenti parole con quelle di Rita Charon:

‘‘The boldness of imagination is the courage to relinquish one’s own coherent experience of the world for another’s unexplored, unplumbed, potentially volatile viewpoint’’

Le narrazioni ci invitano ad allargare il nostro sguardo, per immaginare quello che succede dentro a un'altra persona. L'immaginazione è quello sguardo che ci permette di andare oltre al limite del nostro sguardo, senza però abbandonarlo mai.  Lo sguardo che immagina ci permette di valutare la realtà dal punto di vista del possibile (e dell'impossibile); facilita l'emergere di nuove idee (utile anche per la ricerca scientifica ); coniugato con l'attenzione, aiuta a immedesimarci nella visione del mondo di un'altra persona; infine rende possibile la costruzione di nuove storie, e attraverso l'accesso a un patrimonio di storie (immaginario) condiviso la co-costruzione. 


E qui un altro frammento lo possiamo prendere dall'antropologia, in particolare dal lavoro di Cheryl Mattingly sul therapeutic emplotment, che a mio avviso chiarisce qual è il ruolo dell'immaginazione nella costruzione del percorso terapeutico. Jerome Bruner racconta così l'esperienza della Mattingly presso la Scuola di Medicina dell’Università della California meridionale

"Il progetto in questione mira a sottoporre i bambini con lesioni gravi, o in recupero da malattie invalidanti, a una terapia fisica che reintegra le funzioni e talora salva la vita. Il gruppo della California meridionale ha operato in questo senso per un periodo abbastanza lungo da consentire una conclusione generalissima e molto attendibile. Non è sufficiente prescrivere gli esercizi giusti e farli seguire da un fisioterapista competente, e non basta convincere i genitori che il regime di esercizi è fondamentale per il ripristino della funzione. Ci deve essere anche un racconto di una possibile guarigione, anche una storia di fantasia che trasforma il bambino malato, il terapista e un genitore nei personaggi di una storia western o poliziesca. Non importa che la storia preveda di radunare il bestiame, che aumenta un poco ogni giorno (Trackton?) o di salire a fatica la scala della scuola, un gradino alla volta (Roadville?). Ciò che importa è una narrazione in comune. La ragione da sola non ottiene il risultato. Gli esercizi prescritti ai bambini sono sempre spiacevoli, spesso dolorosi. E non giova che il dottore ti assicuri che «gli esercizi regolari ti guariranno, giovanotto»"


Per approfondire

  • Italo Calvino, Lezioni americane, Oscar Modadori
  • Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano seguite dai Taccuini di appunti, Einaudi
  • Charon, R. (2006). Narrative medicine: Honoring the stories of illness. New York and Oxford: Oxford University Press.
  • Cheryl Mattingly, Healing Dramas and Clinical Plots: The Narrative Construction of Experience, Cambridge University Press, Cambridge 1998
  • Jerome Bruner, La fabbrica delle storie: Diritto, letteratura, vita , Laterza