Corso Medicina Narrativa Roma 1.02.19 | Trame Formazione
06 febbraio 2019, scritto da Venusia Covelli
categoria: Diario di bordo
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Onorare le storie, con metodo

Venerdì 1 e sabato 2 febbraio abbiamo tenuto un corso di Medicina Narrativa a Roma: si è creato un clima di condivisione e di arricchimento reciproco,  grazie al gruppo straordinario di medici, infermieri e operatori sanitari che hanno partecipato attivamente a tutte le attività proposte.  Ecco il consueto diario di bordo dei nostri docenti.
La sveglia è suonata molto presto venerdì. Nonostante il tempo uggioso, sentivo questa volta di portare con me il sole, una carica positiva per questa nuova avventura formativa con destinazione Roma. 
Mi attendeva un gruppo di persone desiderose di conoscere ciò a cui sto dedicando da molto tempo gran parte della mia vita professionale: la medicina narrativa

A volte, quando le persone mi chiedono di cosa mi occupo, rispondo partendo direttamente dal citare il ruolo fondamentale giocato dalle storie dei pazienti nel percorso di cura, l'importanza di 'onorare’ (prendo a prestito una nota espressione per addetti ai lavori) le storie nel quotidiano dell’incontro tra operatore sanitario e paziente. Non mi soffermo troppo sulla definizione di Medicina Narrativa, ma sulla passione che cerco di mettere in quello che faccio. 

Così spero, e dai rimandi positivi credo proprio che ciò sia avvenuto, di aver fatto lo stesso durante il corso di Roma. Parlare di metodo e di metodologie non è facile, si cade nella noia e nei tecnicismi, necessari e importanti tanto quanto l'esperienza diretta. Malgrado ciò, ho cercato di arrivare alle diverse realtà portate dalle persone, venute ad ascoltarci e a riflettere riguardo come e cosa portarsi a casa da due giorni di formazione sulla medicina narrativa. 
E come ogni volta accade, sono tornata a casa più ricca delle loro esperienze e sempre più motivata a continuare questo percorso. 

Arrivederci dunque alla prossima avventura! 

Dalla Sicilia, con entusiasmo (e un po' di ansia)

Le emozioni e le riflessioni nel diario di Tiziana Lo Monaco, che ha portato a Roma la sua esperienza di progetti di Medicina Narrativa
Venerdì 1 febbraio.
Come sempre, anche quando decido di essere puntuale e mi impegno, ahimè c'è sempre qualcosa che rema contro la mia volontà. Arrivo in aeroporto con largo anticipo...e tac... l'aereo ritarda, e mi dispiace perché quando decidi di intraprendere un percorso con altre persone, amici e colleghi, è sempre bello essere insieme per ascoltarsi e sostenersi a vicenda, perché in fondo, ad ogni corso c'è sempre quella adrenalina che ti accompagna come se fosse la prima volta. In queste occasioni faccio mio il motto "la puntualità è la virtù di chi si annoia" dell'amico Breton, almeno cerco di guardare al lato positivo.

E allora che si fa nell'attesa? Vorrei dare l'ultimo sguardo alle slide, ma la mia affezionata amica  Ansia è già con me e non si scrolla, per cui, cosa si può fare in aeroporto se non ascoltare le storie dei tanti viaggiatori che come me attendono tra sorrisi, preoccupazioni, e incazzature?

Finalmente Roma, stranamente uggiosa, stranamente lenta, stranamente provata...o forse sono io troppo carica, che mi porto il sole della Sicilia e la forza dell'Etna dentro per non riuscire ad entrarvi in sintonia.
Ore 16, eccomi arrivata al corso, leggermente imbarazzata (anche se non sembra, ma giuro che lo ero!), ma quell'imbarazzo viene spazzato via in un batter d'occhio e col gusto del caffè...mi ritrovo dinnanzi ad un gruppo di professionisti molto bello, ricco, coeso, allegro, cordiale, aperto e soddisfatto del percorso svolto fino a quel momento. Rimango piacevolmente meravigliata e l'agitazione via via svanisce. Tanto parlerò l'indomani.

Sabato...rieccoci... Ansia mi comunica che è il mio turno, che non devo disattendere le aspettative che le mie "colleghe/amiche" hanno riposto su di me, che devo mettere in pratica la teoria, che devo chiudere il cerchio... si comincia...

Ogni volta che racconto quello che faccio mi viene sempre uno strano nodo alla gola, mi si inumidiscono gli occhi perché rivivo puntualmente le storie che racconto e a cui do voce, storie che conosco, conosco le persone che le hanno scritte, perché le hanno scritte... ed è sempre emozionante cogliere in coloro che ti ascoltano la stessa emozione che provo io nel rinarrarle. E' straordinario assistere alla potenza delle storie, al loro non avere confini e al loro unirsi l'una con l'altra intessendo TRAME che regalano emozioni che difficilmente si possono dimenticare.

Cosa mi porto dietro?
L'aver conosciuto splendide persone che lavorano in campo sanitario e con le quali condivido la stessa mission, aver ricevuto tanti stimoli nuovi, l'aver conosciuto tante  belle esperienze e tanta carica per continuare a lavorare al servizio della Medicina Narrativa.
Alla prossima!

Qui Roma

Roma è la Storia, e vivere a Roma ti porta a convivere con le tante storie che questa città trasuda da secoli e che la rendono unica e bella nonostante la pioggia che ha segnato il fine settimana del 1 e 2 febbraio!
Mi sembra giusto quindi iniziare da qui.
Venerdì 1 febbraio siamo partite con il Corso di Medicina Narrativa. 
Io, la più anziana tra i docenti, e le mie colleghe, ormai amiche, siamo arrivate piene di aspettative e di curiosità ad accogliere gli studenti. Persone, professionisti sanitari, che arrivavano da tutta la penisola. Curiosi, pieni di aspettative e, come noi, pronti all’ascolto. Il clima è stato subito stimolante.

Il mio compito: fare una panoramica sulla Medicina Narrativa, un excursus tra metodologia, strumenti e criteri.
Il mio intervento, dopo quello di un fiume in piena quale è stato quello del Prof. Virzì, affabulatore naturale, ha risentito del mio classico sentirmi in colpa anche per il tempo che non bastava più per le tante cose che si sarebbero dovute affrontare.

Come si dice a Roma, sono stata ‘na scheggia! Ho attraversato come una fucilata lo spazio dell’esposizione, facendo correre tutti. Ce l’ho fatta. Comunque abbiamo recuperato il tempo che ci serviva per sviluppare tutti i temi che volevamo affrontare con i corsisti. La prossima volta andrà meglio. 

Però c’è stata la grande soddisfazione ed emozione che ho provato e condiviso per il clima unico che si è avverato durante il close reading. La lettura di Coetzee è stata importante per lo sviluppo dei rapporti tra noi.
In effetti, ritengo le esercitazioni mirate ad applicare la Medicina Narrativa, il momento più intimo per stabilire un contatto tra le persone. Condividere con gli altri, sconosciuti al momento, emozioni e riflessioni, aiuta a capire il cuore di questa disciplina.

Come rappresentante di un’Associazione di persone con patologia, semplicisticamente pazienti, l’abitudine all’ascolto è  un esercizio costante che rafforza la pratica della mia esperienza in MN. 
Infine, ritengo che il corso sia filato bene e che la trama che abbiamo tessuto, tutti, sia solida e interessante.
Concludendo, gli abbracci con i quali ci siamo salutati, sono stati caldi ed affettuosi e sì, ci si abbraccia per essere abbracciati!

Dall'esterno

Chiudo la serie dei diari di bordo relativa a questa due giorni di inizio febbraio, anche se in teoria non dovevo nemmeno esserci.

Ho seguito questo corso da organizzatrice e non da formatrice, non avevo lezioni da portare, più che altro i coffee break. 
Ho seguito le lezioni frontali con interesse da discente: la lectio del professor Virzì, che utilizza con maestria le storie della letteratura, del cinema e della cronaca per affascinarci e poi aggiunge un pizzico di cinico pessimismo, per non illuderci che portare nella pratica la medicina narrativa sia cosa semplice; l’emozione della “scheggia” Maddalena Pelagalli, che alla sua prima prova avrebbe meritato più spazio e che ci ha regalato la scelta dell’incredibile brano del close reading, l’incipit del romanzo di Coetzee, Età di ferro; la precisione puntuale ma mai rigida o saccente di Venusia Covelli: nelle sue lezioni vedo l’evoluzione di un lavoro di ricerca e di definizione del sapere in cui mi ritrovo e mi rispecchio (e mi torna in mente che devo rubarle alcune slide).

Il secondo giorno poi c’è stata la sorpresa dell’intervento del dottor Picano: non sapevo con chiarezza di cosa avrebbe parlato e questo – da organizzatrice del corso – un pochino mi irritava. Quando ha iniziato a parlare, faticavo a capire dove volesse andare a parare: anche io (come qualcun altro in aula, chi c'era sa di chi parlo) , non sono brava ad aspettare e ho fretta di arrivare alle conclusioni. Ma poi il suo pensiero si è dispiegato in un messaggio che mi sono portata a casa come un ricco bottino: “Quando la medicina è narrativa? Quando diventa una relazione capace di cambiare entrambi i soggetti coinvolti.”

E infine Tiziana. Tiziana Lo Monaco è un ciclone di entusiasmo, di ironia e di verve siciliana: anche lei come Virzì, sa come si racconta una storia (lentamente, creando suspense e attesa, inserendo altre storie nella storia, interagendo costantemente con chi ascolta). Nelle due ore di lezione ci ha parlato dei progetti di medicina narrativa e pratiche narrative che ha realizzato in diversi contesti sanitari: tanti, emozionanti, efficaci e concreti. Insomma ci ha lasciati con quella sensazione:  “si…può… fare!” 

Ero fiera di tutti, ma sapevo di aver scelto bene la mia squadra. La gradita sorpresa è stata che non solo i giocatori che avevo scelto erano dei fuoriclasse, ma anche quelli che non conoscevo: raramente ho visto un’aula così ricca di interesse e di voglia di mettersi in gioco. Un gruppo variegato per professione (ben 6 medici!), per età, per provenienza geografica. (Non per genere: nei corsi di medicina narrativa servirebbero le quote azzurre). 
Una diversità che si è rivelata ricchezza perché si è espressa come tale, senza omologazione ma esplicitata e trasformata in spunto di riflessione. Un esempio: la difficoltà di tradurre la selva oscura dantesca in un'altra lingua (per una partecipante non madrelingua) è diventato il modo per entrare nel significato profondo, culturale e personale della metafora. 
Un gruppo che si è confrontato anche con la difficoltà - i laboratori servono anche a questo - e l'ha affrontata attraverso la condivisione tra pari, attraverso una presa in carico reciproca e una spontanea collaborazione.

Devo ammettere il mio fallimento: non sono riuscita a rimanere nella mia posizione esterna (ma ci si riesce mai?), e durante i laboratori mi sono tuffata a bomba nel mezzo della partita, tra posti sicuri e selve oscure. Il desiderio di condividere riflessioni, emozioni, racconti con questo gruppo era troppo grande e, sì, penso di essere tornata a casa trasformata: più ricca di speranza.