Covelli - Medicina Narrativa | Trame Formazione
01 ottobre 2018, scritto da Francesca Memini
categoria: Diario di bordo
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Lo sguardo della Medicina Narrativa: riflessioni sul workshop

Il 22 settembre abbiamo vissuto una giornata di workshop intensa, con il contributo di un nutrito gruppo di partecipanti. le nostre riflessioni nel consueto "diario di bordo".
Il workshop del 22 settembre "Lo sguardo della medicina narrativa" è stato intenso, emozionante e … devastante. 
Il giorno successivo, infatti, è stato per me completamente dedicato ad abbassare i giri, distrarmi, riposare e lasciar depositare. Una sensazione però rimaneva a galla: “È stata dura, ma è proprio quello che voglio fare”. Che cosa ho provato?

Adrenalina, perché ogni aula, come ogni incontro è una scommessa. Non sai chi ci sarà, non sai come reagiranno alle proposte, non sai se sarai in grado di facilitare, di contenere, di comunicare quello che desideri comunicare, non sai se i testi scelti saranno quelli giusti. Non ci sono certezze, come in tutte le relazioni umane: non si può pretendere di avere il controllo della situazione, ma bisogna essere pronti a fidarsi e ad affidarsi, a improvvisare, a seguire la musica che ti viene proposta e anche a sbagliare. 
Arricchimento: ogni momento formativo è formativo in primo luogo per i formatori. Si impara tanto da quello che ciascun partecipante condivide: storie, emozioni, punti di vista. E si impara anche dagli altri formatori: stili, strumenti, gestione dei tempi, delle emozioni.  E si impara tanto riflettendo su quello che è successo in aula, sulle dinamiche relazionali che si creano, sui temi che sono emersi e su perché e come sono emersi.
Esporsi. Ho fatto una scelta un po’ azzardata, ho scelto di non esporre la mia relazione (nonostante avessi preparato un discreto numero di slide) ho preferito aprire le danze con il confronto intorno a un testo (filmico). In un certo senso ho preferito espormi, piuttosto che esporre, non per mettermi sul palcoscenico (sarebbe stato più facile riuscirci con le slide), ma per mettermi in-gioco-insieme. 
Perché mi piace sperimentare, perché mi annoio se non provo qualcosa di nuovo, perché voglio imparare più che insegnare. E non è che proprio tutto sia andato alla perfezione, ammettiamolo. 

Forse il mio espormi è stato un po’ troppo diretto, non sono brava a fingermi diversa da quello che sono, ma non sono una persona facile. Decisamente posso migliorare il modo in cui comunico, smussare i miei spigoli. 
La cosa bella è che è il gruppo a dirtelo e a darti la direzione. Per esempio: le parole che scelgo di usare, spesso le declino secondo significati molto personali – con scelte che possono suonare ruvide o provocatorie – e invece il dialogo con il gruppo mi ha guidato nella ricerca di parole dal significato condiviso. Dove io definivo una “superficialità” era più adeguata una “leggerezza”: per me superficialità non ha una connotazione negativa (magari riuscissi ad essere più superficiale, di tanto in tanto), ma quella connotazione la parole ce l’ha, almeno per tanti che erano presenti in aula e che me l’hanno fatto notare, non posso far finta di niente. 

Questo mi sembra quello che dovrebbe succedere in processo di co-costruzione: si espongono i punti di vista, si scelgono le parole per comunicarli, ci si espone nel comunicarli e poi ognuno, si fa carico della responsabilità delle sue scelte e delle sue opinioni, ed è pronto ad aggiungere altre parole e si espone di nuovo, per chiedere, cercare chiarimenti o alternative. Si dialoga, nel rispetto e nell’impegno che la comprensione richiede, finché non si arriva a un orizzonte di senso condiviso. Si diventa scrittori: “Lo scrittore non può essere definito in termini di ruolo o di valore, ma solo da una certa coscienza di parola. È scrittore colui per il quale il linguaggio costituisce un problema e ne sperimenta la profondità non la strumentalità o la bellezza”, scrive Roland Barthes.

Dopo la mia esposizione, abbiamo ascoltato gli interventi di Venusia Covelli, sempre precisa sulle definizioni di medicina narrativa e sulla descrizione delle metodologie; Antonella Mocellini ha introdotto un tema fondamentale nella comunicazione medico paziente: quello del corpoe Mario Cerati, che ha portato esempi concreti dell'applicazione della Medicina Narrativa in odontoiatria. 
Nel pomeriggio poi , il laboratorio proposto da Mario Cerati , ci ha di nuovo esposti, esposti al movimento, esposti allo sguardo reciproco, esposti all’emozione che trapelava da questo sguardo.  
Poi ecco, forse avrei dovuto ritrarmi un po’ di più, avere più tempo già in quella sede per lasciare che l’emozione si depositasse… ci voleva un momento di scrittura e di solitudine, dopo tutto quell’esporsi. Non so se era un’esigenza condivisa, ma so che forse mi avrebbe fatto bene. Lo faccio ora... meglio tardi che mai.

Cosa ho portato a casa
1. La metafora espressa da una delle partecipanti: le storie dei pazienti sono come una grande biblioteca;
2. Il paragone tra i brutti quadri e l’immagine radiologica al diafanoscopio che il paziente non vuole guardare, nel brano letto e commentato insieme (tratto da Nel mondo a venire di Ben Lerner, Palermo: Sellerio, 2015);
3. Un abbraccio;
4. L'importanza di rimanere legata ai testi: il processo ermeneutico parte da lì. Quella è l’ancora per andare a fondo nelle parole.
6. Organizzarmi meglio e nei tempi giusti con la logistica di firme, fogli presenze, attestati e e burocrazia varia.